Difesa da strangolamento – Comabt Arms n°3 anno VI – Luglio 2018

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DIFESA DA STRANGOLAMENTO

Un semplice movimento è in grado di liberarci da uno strangolamento frontale

di Manuel Spadaccini, Carabiniere in congedo ed Istruttore professionista nel settore del Krav Maga, fondatore e Direttore Tecnico della KMA – Krav Maga Academy.

Nelle dinamiche di aggressione l’azione di strangolamento della vittima ricopre un ruolo molto frequente, tanto quanto le percosse. Alcuni studiosi ne individuano come causa il desiderio – anche inconscio – dell’aggressore di rimarcare il dominio nei confronti della propria preda. Esattamente come avviene in ambito animale, nel quale gli attacchi sono spesso sferrati alla gola dell’avversario sia che il predatore voglia ucciderlo per cibarsi, sia nel caso in cui l’animale desideri sottomettere il rivale senza ucciderlo, semplicemente allo scopo di mostrare il proprio predominio nel branco.

NON TUTTE FUNZIONANO REALMENTE

Le tecniche proposte nei corsi di difesa personale atte a liberarsi da uno strangolamento frontale sono molteplici. Anche se apparentemente possono sembrare sempre tutte efficaci, non è assolutamente così: molte richiedono una notevole forza fisica, altre richiedono troppo tempo per essere applicate, altre – come particolari leve o chiavi articolari – necessitano di una precisione difficilmente attuabile in un reale contesto, caotico e movimentato. In sostanza ve ne sono alcune efficaci e altre che invece riescono esclusivamente se applicate in blandi allenamenti, su aggressori molto collaborativi e poco realistici, ma che in strada difficilmente avrebbero successo su un aggressore più forte.

7 SECONDI DI LUCIDITÀ

Occorre premettere infatti che, durante un reale strangolamento, è stato calcolato che la vittima ha a disposizione in media 7 secondi di lucidità dopo i quali, a causa dell’adrenalina in circolo e del conseguente aumentato fabbisogno di ossigeno, si verifica un veloce calo di lucidità che si tramuta rapidamente in una perdita di coscienza con conseguente totale disfatta. A questo proposito ricordo che liberare il più presto possibile le vie respiratorie compromesse è una delle quattro priorità della difesa personale (vedi l’omonimo articolo pubblicato in questa rubrica sul numero di Combat Arms di Gennaio 2018) e che pertanto liberarsi dallo strangolamento deve avere la precedenza assoluta, prima ancora di provare a colpire l’aggressore.

SFERRARE I COLPI? NON PECCARE DI SUPERBIA

Fatta questa premessa, va da sé che un’efficace tecnica deve immediatamente consentire lo sgancio delle mani dal collo senza richiedere molteplici tentativi di applicazione per andare a buon fine. Portare dei colpi prima di tentare lo sgancio è sconsigliabile in quanto potrebbe essere addirittura controproducente, principalmente per tre motivi.

Primo, sferrare i colpi non è sempre garanzia di successo. Potrebbero infatti non essere sufficientemente efficaci su un aggressore marcatamente più forte, magari posto anche sotto l’effetto di droghe anestetiche e stimolanti come la cocaina.

Secondo, un aggressore che riceve ed incassa dei colpi potrebbe diventare ancor più aggressivo ed incrementare ulteriormente la forza di strangolamento.

Terzo, portare dei colpi sperando di azzeccare quello decisivo richiede tempo prezioso che, come specificato nella premessa, durante una reale soffocamento non si ha.

Personalmente, la mia esperienza mi ha portato ad individuare la tecnica che presenta la più alta percentuale di successo grazie alla rapidità e semplicità di applicazione, ovviamente a patto che venga eseguita correttamente e con estrema decisione.

TUTTO QUI?

Per sganciare le mani di un aggressore che sta strangolando è sufficiente alzare le braccia e ruotare su se stessiTutto qui. Questo è il concetto base, semplice ed efficace.

Ovviamente è utile individuare qualche ulteriore astuzia e dettaglio nell’esecuzione della tecnica, ma il movimento di base rimane quello.

Un’analisi più dettagliata porta ad osservare che è sufficiente l’uso di un braccio solo, ruotando completamente verso le mani dell’aggressore. Lo sgancio non avviene grazie alla propria forza fisica, bensì ad una pura azione meccanica (ovviamente – come qualsiasi altro movimento in un combattimento – è imperativo che questa rotazione venga effettuata con estrema decisione). La rotazione di sgancio è in realtà anche l’inizio della fuga, pertanto eseguendo contemporaneamente anche un primo passo nella direzione della rotazione si sfrutterà il proprio peso corporeo a proprio vantaggio e tutto il corpo collaborerà nel movimento.

SE LA FUGA NON È ATTUABILE

Se la fuga non è attuabile, è possibile anche continuare la reazione tramutandola in un’azione offensiva. In questo caso il braccio, dopo aver sganciato le mani dal collo, torna verso l’aggressore sferrandogli una gomitata al volto. Da qui il combattimento può proseguire secondo necessità.

Una difesa rapida, semplice e pertanto molto efficace anche in situazioni di panico e confusione, che non dipende dalla forza fisica ma dalla semplice volontà di combattere e difendersi ad ogni costo. Perché anche se un’azione difensiva può essere relativamente semplice, ciò che è più difficile è il saperla applicare con lucidità durante una improvvisa situazione critica.

E’ soprattutto questo aspetto mentale che va allenato, forse ancor più dell’aspetto tecnico, ed è imperativo pertanto prevedere idonei allenamenti che inducano nei corsisti un marcato stress indotto al fine di formare – come sono solito affermare – “la testa prima dei muscoli”.

Manuel Spadaccini è disponibile per qualsiasi domanda o confronto. Contatti sul sito manuelspadaccini.it

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